domenica 25 agosto 2013

In viaggio


Milano, gate A2, 6:17
Come mi sento? Non lo so. Avrò dormito si e no quaranta minuti, mi sono svegliata alle tre e mezza e ho davanti a me la prospettiva di tre voli: Milano-Parigi, Parigi-Seattle e Seattle-Pasco, poi l’ignoto.
Alla mia destra ci sono due uomini in camicia che parlano in francese e a sinistra una bambina che indossa una felpa rosa con un inquietante orso altrettanto rosa con un arcobaleno sulla pancia. Intorno a me è pieno di coppie e famiglie dirette a Parigi.
Devo dire che mi fa un certo effetto prendere un aereo da sola, ma per ora non mi sento preoccupata. Certo, fare due scali sarà un incubo, ma per ora mi sento tranquilla e abbastanza orgogliosa.
Partire non è facile, i miei occhi lucidi per colpa dei messaggi d’addio che sono arrivati per tutta la notte lo dimostrano,

Della serie "addii strappalacrime". O forse no.

 eppure io sono qui, da sola, pronta a compiere la più grande sfida che abbia mai affrontato in diciassette anni. Non ho certezze, non so cosa mi succederà, come verrò accolta, se mi troverò bene, non ho nemmeno idea di come sia la casa in cui dormirò stanotte e nei prossimi dieci mesi ma sono qui lo stesso, pronta a rischiare.

Okay, ora sono in aereo, il solo è tramontato e ho perso il filo del discorso.
Vedo intorno a me un sacco di miei coetanei che si fanno guidare passivamente dai genitori, e questo mi fa sentire indipendente (cosa che passerà quando inizierò a chiamare mio padre piangendo da Parigi perché non ho la più pallida idea di dove andare) e sicura di me stessa, una bella sensazione per qualcuno che di solito la sicurezza non la vede mai.

Da qualche parte sopra al Canada, volo Parigi-Seattle
In questo momento sono sul volo che da Parigi mi porta a Seattle, fino ad ora il viaggio è stato complicato ma sono riuscita a non perdermi. Nel volo da Milano a Parigi ho evitato di dormire per non prendere sonno e trascinarmi in aeroporto come uno zombie. Del gruppo di weppini che partivano stamattina sono l'unica ad essere partita in volo da sola, e  per di più con una compagnia che non mi ha stampato le carte d’imbarco, che culo. Dunque a Parigi ho dovuto cercare un desk della mia compagnia aerea (Delta, oh se ti odio) perché non avevo il biglietto né per il volo Parigi-Seattle né per Seattle-Pasco.
Ho fatto i km (non esagero, l'aeroporto di Parigi è immenso) per ritrovarmi al terminal 2E, nel quale avrei dovuto trovare un delta desk. Avrei dovuto.
Visto che non c'era da nessuna parte mi sono fatta stampare la prima carta d’imbarco da una ragazza di Air France, che però non poteva stampare la seconda. A quel punto mi sono ritrovata nel punto più lontano possibile al mio gate e senza nemmeno entrambi i biglietti. Okay.
Sono riuscita a trovare, non chiedetemi come, il gate M49 a qualche chilometro e un piano di distanza e per arrivarci ho pure dovuto prendere un pulmino che è proprio uscito dall'aeroporto vagando per Parigi cinque minuti buoni. Sono arrivata che stavano già imbarcando e sono salita guardandomi intorno per cercare un altro Delta desk, ma non ho avuto fortuna.
Questo significa che a Seattle oltre alle millemila procedure del tipo immigration-ritiro valigia-dogana-fast drop-ricerca gate dovrò anche cercare qualcuno che mi stampi il biglietto, il tutto con due valigie di rispettivamente nove e ventuno kg, lo zaino e una bella dose di jetlag, perfetto. Se ce la faccio, niente sarà più impossibile. La cosa migliore che posso fare ora è concedermi qualche ora di sonno, buonanotte.

Aeroporto di Seattle, gate C2K
E’ stato molto meno peggio di quanto non mi aspettassi. Di sicuro meglio che a Parigi, e non sono nemmeno troppo stanca nonostante qui siano appena le quattro e in Italia l’una di notte. A Parigi dovevo solo stampare le carte d’imbarco e trovare il gate, quindi pensavo che a Seattle fosse molto peggio, ma sono stata fortunata. Verso fine volo scopro che anche la ragazza tedesca alla mia destra è un’exchange student, ma non chiacchieriamo più di tanto. Sul punto di scendere, però, nel magico momento in cui tutti sono in piedi ma le porte sono ancora chiuse un tizio dall’aria ambigua dietro di me inizia a parlarmi, non sono abbastanza lucida da ricordare la prima cosa che abbia detto, ma vi basti sapere che
Awwwwww scusate ho perso il filo del discorso, il bambino più bello che abbia mai visto è arrivato a giocare con i miei braccialetti e mi ha offerto una patatina, che amore.
Dicevo? Ah si. Quando gli ho detto di essere italiana ha iniziato a parlarmi di come secondo lui l’America non sia stata scoperta da Colombo ma da Amerigo Vespucci, mi ha chiesto se il mio cane sia intelligente e ha iniziato a sparare tutto quello che gli veniva in mente. La tedesca mi tirava delle occhiate confuse ridacchiando, finche lui la guarda e mi fa: “Is her your girlfriend?”
Io a quel punto mi impietrisco, inarco le sopracciglia e gli dico di no, e lui inizia a monologare dicendo cose come: “I don’t mean that there something romantic between you, just, girls have friends, no? Boys have friends too. So I don’t know in the U.S.A. but…” e bla bla bla.
Abbiamo dovuto fare incollate a lui quasi un’ora di coda, dall’immigration fino al ritiro dei bagagli, e lui ha tirato fuori argomenti imbarazzanti, domande improbabili e battute terribili che facevano ridere solo lui. In ogni caso ho chiacchierato per tutto il tragitto e questo è un bene, perché anche se nessuno dei tre era americano riuscivamo a capirci e scherzare, quindi sono soddisfatta.
A un certo punto mentre eravamo in fila all’immigration un ragazzo con occhi azzurri e riccioli biondi si avvicina, ci dice di essere anche lui un exchange student e si unisce a noi. Era preoccupato perché aveva solo un’ora per cambiare aereo e una fila lunghissima davanti, ogni cinque minuti tirava fuori l’orologio, guardava quando mancasse e ripeteva “I can do it, I can do it!”. Credo si chiamasse Jacob o Iakob o qualcosa di simile, mentre la tedesca si chiamava Katha e il tipo strano Thomas.
Siamo stati insieme fino alla fine della fila mentre Jacob continuava a guardarsi intorno ottimista. Quando c’era solo un uomo davanti a lui una hostess gli fa, indicandoli, “Are you a family?” e lui “No, I’m from Poland”. Ovviamente intendeva che venivano da due nazioni diverse ma io sono scoppiata a ridere come un’idiota e faccio “We don’t have families in Poland!”, ricevendo un’occhiataccia e una battuta sugli italiani che non ricordo hahaha
Arrivati al momento di separarci Thomas, che tra l’altro ha 25 anni, inizia a fare complimenti improbabili del tipo “you have nice nails!” e mi chiede se possiamo uscire insieme qualche volta. Considerato che avevo un altro aereo da prendere non so cosa me l’abbia detto a fare, ma okay. Si incontra gente strana in coda.
Dopo io e Katha abbiamo recuperato i bagagli, li abbiamo ridati indietro venti metri più in là e abbiamo dovuto prendere due treni per raggiungere un Alaska Airline desk per farci stampare i biglietti. Ovviamente non c’era nessuno ma io sono riuscita a stamparlo ad una macchinetta, mentre lei è andata a cercare il suo gate e ci siamo separate. Visto che il mio aereo era in ritardo sono andata a prendere un caffè da starbucks per scroccare un po’ di wi-fi, the end. 



Tra poco iniziano ad imbarcare quindi devo spegnere, pubblicherò questo post appena ottengo una connessione ad internet, ciao!

venerdì 2 agosto 2013

Sta succedendo davvero?

È da settimane che cerco di scrivere il primo post per questo blog, ma ogni volta che afferro una penna armandomi di buona volontà mi ritrovo a fissare il foglio in silenzio.
È una sensazione strana, mi sembra che la mia avventura si concretizzi un po' di più solo nel momento in cui mette nero su bianco quello che provo. Il che in realtà è una cazzata gigantesca da dire il due agosto, ventuno giorni prima della partenza, quando è già tutto programmato e dovrei iniziare a preparare la valigia. Ho il visto, ho la famiglia e ho già dato l'addio a molte delle persone a cui tengo, eppure non mi sembra ancora vero.
Sto passando un pomeriggio d'estate come tanti altri, limitandomi a non fare nulla con le amiche (ciao Lara e Laura, nel caso che leggiate mai questo mio diario di viaggio <3).
Dopo avere passato qualche ora a fingere di studiare, mentre Laura rinuncia a tradurre la quarta frase di greco del pomeriggio e Lara fa qualcosa con il telefono io fingo di studiare filosofia e mi trovo finalmente ispirata.
Mastico una penna di plastica immersa nella semplicità della scena. Sono qui seduta, con i capelli raccolti a casaccio in una coda mentre un venticello finto muove le foglie degli alberi e Laura parla di triangoli isosceli con AB congruente a CD.
Immersa nella mia routine estiva, con addosso un costume e i pantaloncini che ho messo così tanto da consumare, mentre continuo ad alzare la testa per fare chiacchiere inutili su cose successe nelle ultime sere, mi sembra tutto così normale che non posso concepire come tra venti giorni tutto cambierà. Sarò catapultata in un universo differente nel quale dovrò andare in una scuola in cui non capirò ne i professori ne i compagni, vivrò come parte di una famiglia che ancora non ho mai visto, in un continente in cui non conosco nessuno e devo rimboccarmi le maniche cavandomela con le mie forze.
Riesco solo ad ascoltare distrattamente Laura che si perde ragionamenti matematici, le macchine che passano e la mia mano che striscia sulla carta mentre Lara canticchia parole senza senso. Mi sembra che queste estati passate a far nulla dureranno per sempre, ma so che non è così. Quando tornerò sarò maggiorenne, avrò alle spalle quello che spero possa essere l'anno più bello della mia vita e davanti una montagna di cose da studiare per i test a settembre (prospettiva decisamente meno piacevole).
La cosa più strana è che l'impossibilità della prospettiva di quello che vivrò tra 20 giorni inibisce la mia preoccupazione. Si può essere preoccupati per qualcosa di così lontano e impalpabile? La prima volta in cui ho avuto un lampo di consapevolezza di quello che sta succedendo è stato quando ho stretto in mano per la prima volta il visto, ma dopo poche ore sono tornata nel limbo ovattato dell'incredulità.
Credo che l'inizio della mia avventura si concretizzerà definitivamente solo quando il 23 agosto salirò sull'aereo senza avere prenotato un biglietto di ritorno. E io aspetto.