Milano, gate A2, 6:17
Come mi sento? Non lo so. Avrò dormito si e no
quaranta minuti, mi sono svegliata alle tre e mezza e ho davanti a me la
prospettiva di tre voli: Milano-Parigi, Parigi-Seattle e Seattle-Pasco, poi
l’ignoto.
Alla mia destra ci sono due uomini in camicia che
parlano in francese e a sinistra una bambina che indossa una felpa rosa con un
inquietante orso altrettanto rosa con un arcobaleno sulla pancia. Intorno a me
è pieno di coppie e famiglie dirette a Parigi.
Devo dire che mi fa un certo effetto prendere un
aereo da sola, ma per ora non mi sento preoccupata. Certo, fare due scali sarà
un incubo, ma per ora mi sento tranquilla e abbastanza orgogliosa.
Partire non è facile, i miei occhi lucidi per colpa
dei messaggi d’addio che sono arrivati per tutta la notte lo dimostrano,
Della serie "addii
strappalacrime". O forse no.
eppure io sono qui, da sola, pronta a
compiere la più grande sfida che abbia mai affrontato in diciassette anni. Non
ho certezze, non so cosa mi succederà, come verrò accolta, se mi troverò bene,
non ho nemmeno idea di come sia la casa in cui dormirò stanotte e nei prossimi
dieci mesi ma sono qui lo stesso, pronta a rischiare.
Okay, ora sono in aereo, il solo è tramontato e ho
perso il filo del discorso.
Vedo intorno a me un sacco di miei coetanei che si
fanno guidare passivamente dai genitori, e questo mi fa sentire indipendente
(cosa che passerà quando inizierò a chiamare mio padre piangendo da Parigi
perché non ho la più pallida idea di dove andare) e sicura di me stessa, una
bella sensazione per qualcuno che di solito la sicurezza non la vede mai.
Da qualche parte sopra al Canada, volo
Parigi-Seattle
In questo momento sono sul volo che da Parigi mi
porta a Seattle, fino ad ora il viaggio è stato complicato ma sono riuscita a
non perdermi. Nel volo da Milano a Parigi ho evitato di dormire per non
prendere sonno e trascinarmi in aeroporto come uno zombie. Del gruppo di
weppini che partivano stamattina sono l'unica ad essere partita in volo da
sola, e per di più con una compagnia che non mi ha stampato le carte
d’imbarco, che culo. Dunque a Parigi ho dovuto cercare un desk della mia
compagnia aerea (Delta, oh se ti odio) perché non avevo il biglietto né per il
volo Parigi-Seattle né per Seattle-Pasco.
Ho fatto i km (non esagero, l'aeroporto di Parigi è
immenso) per ritrovarmi al terminal 2E, nel quale avrei dovuto trovare un delta
desk. Avrei dovuto.
Visto che non c'era da nessuna parte mi sono fatta
stampare la prima carta d’imbarco da una ragazza di Air France, che però non
poteva stampare la seconda. A quel punto mi sono ritrovata nel punto più
lontano possibile al mio gate e senza nemmeno entrambi i biglietti. Okay.
Sono riuscita a trovare, non chiedetemi come, il
gate M49 a qualche chilometro e un piano di distanza e per arrivarci ho pure
dovuto prendere un pulmino che è proprio uscito dall'aeroporto vagando per
Parigi cinque minuti buoni. Sono arrivata che stavano già imbarcando e sono
salita guardandomi intorno per cercare un altro Delta desk, ma non ho avuto
fortuna.
Questo significa che a Seattle oltre alle millemila
procedure del tipo immigration-ritiro valigia-dogana-fast drop-ricerca gate
dovrò anche cercare qualcuno che mi stampi il biglietto, il tutto con due
valigie di rispettivamente nove e ventuno kg, lo zaino e una bella dose di
jetlag, perfetto. Se ce la faccio, niente sarà più impossibile. La cosa
migliore che posso fare ora è concedermi qualche ora di sonno, buonanotte.
Aeroporto di Seattle, gate C2K
E’ stato molto meno peggio di quanto non mi
aspettassi. Di sicuro meglio che a Parigi, e non sono nemmeno troppo stanca
nonostante qui siano appena le quattro e in Italia l’una di notte. A Parigi
dovevo solo stampare le carte d’imbarco e trovare il gate, quindi pensavo che a
Seattle fosse molto peggio, ma sono stata fortunata. Verso fine volo scopro che
anche la ragazza tedesca alla mia destra è un’exchange student, ma non
chiacchieriamo più di tanto. Sul punto di scendere, però, nel magico momento in
cui tutti sono in piedi ma le porte sono ancora chiuse un tizio dall’aria
ambigua dietro di me inizia a parlarmi, non sono abbastanza lucida da ricordare
la prima cosa che abbia detto, ma vi basti sapere che
Awwwwww scusate ho perso il filo del discorso, il
bambino più bello che abbia mai visto è arrivato a giocare con i miei
braccialetti e mi ha offerto una patatina, che amore.
Dicevo? Ah si. Quando gli ho detto di essere
italiana ha iniziato a parlarmi di come secondo lui l’America non sia stata
scoperta da Colombo ma da Amerigo Vespucci, mi ha chiesto se il mio cane sia
intelligente e ha iniziato a sparare tutto quello che gli veniva in mente. La
tedesca mi tirava delle occhiate confuse ridacchiando, finche lui la guarda e
mi fa: “Is her your girlfriend?”
Io a quel punto mi impietrisco, inarco le
sopracciglia e gli dico di no, e lui inizia a monologare dicendo cose come: “I
don’t mean that there something romantic between you, just, girls have friends,
no? Boys have friends too. So I don’t know in the U.S.A. but…” e bla bla bla.
Abbiamo dovuto fare incollate a lui quasi un’ora di
coda, dall’immigration fino al ritiro dei bagagli, e lui ha tirato fuori
argomenti imbarazzanti, domande improbabili e battute terribili che facevano
ridere solo lui. In ogni caso ho chiacchierato per tutto il tragitto e questo è
un bene, perché anche se nessuno dei tre era americano riuscivamo a capirci e
scherzare, quindi sono soddisfatta.
A un certo punto mentre eravamo in fila
all’immigration un ragazzo con occhi azzurri e riccioli biondi si avvicina, ci
dice di essere anche lui un exchange student e si unisce a noi. Era preoccupato
perché aveva solo un’ora per cambiare aereo e una fila lunghissima davanti,
ogni cinque minuti tirava fuori l’orologio, guardava quando mancasse e ripeteva
“I can do it, I can do it!”. Credo si chiamasse Jacob o Iakob o qualcosa di
simile, mentre la tedesca si chiamava Katha e il tipo strano Thomas.
Siamo stati insieme fino alla fine della fila
mentre Jacob continuava a guardarsi intorno ottimista. Quando c’era solo un
uomo davanti a lui una hostess gli fa, indicandoli, “Are you a family?” e lui
“No, I’m from Poland”. Ovviamente intendeva che venivano da due nazioni diverse
ma io sono scoppiata a ridere come un’idiota e faccio “We don’t have families in
Poland!”, ricevendo un’occhiataccia e una battuta sugli italiani che non
ricordo hahaha
Arrivati al momento di separarci Thomas, che tra
l’altro ha 25 anni, inizia a fare complimenti improbabili del tipo “you have
nice nails!” e mi chiede se possiamo uscire insieme qualche volta. Considerato
che avevo un altro aereo da prendere non so cosa me l’abbia detto a fare, ma
okay. Si incontra gente strana in coda.
Dopo io e Katha abbiamo recuperato i bagagli, li
abbiamo ridati indietro venti metri più in là e abbiamo dovuto prendere due treni
per raggiungere un Alaska Airline desk per farci stampare i biglietti.
Ovviamente non c’era nessuno ma io sono riuscita a stamparlo ad una
macchinetta, mentre lei è andata a cercare il suo gate e ci siamo separate.
Visto che il mio aereo era in ritardo sono andata a prendere un caffè da
starbucks per scroccare un po’ di wi-fi, the end.
Tra poco iniziano ad imbarcare quindi devo spegnere, pubblicherò questo
post appena ottengo una connessione ad internet, ciao!
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